Umberto Guidoni, primo europeo sulla Stazione Spaziale Internazionale

Questo mese abbiamo avuto la straordinaria possibilità di intervistare il primo astronauta europeo a mettere piede nella Stazione Spaziale Internazionale. Avete capito di chi parliamo ? Si tratta di Umberto Guidoni astrofisico italiano nato a Roma nel 1954.

La sua passione per lo spazio è nata fin da giovane; chi non ha mai sognato almeno per un istante di avventurarsi nel profondo universo affascinato da racconti e immagini di satelliti e pianeti lontani ? Viaggiare nello spazio è un’esperienza che cambia i punti di vista, che di giorno mostra il pianeta senza la minima presenza dell’uomo e di notte una miriade di puntini illuminati. Un’esperienza che farebbe bene al’umanità come ci rivela il dott. Guidoni.

 

 

Intervista a Guidoni

 

 

Viaggiare nello spazio, un sogno nel cassetto fin dal’infanzia o una passione più “matura” ?

È un sogno che ho avuto fin da giovane. All’inizio, ovviamente, come tutti i ragazzi leggevo fumetti e libri di fantascienza, quindi mi limitavo a immaginare di viaggiare nello spazio. Poi, invece, quando avevo 15 anni sono sbarcati Armstrong e Aldrin sulla Luna e questo mi ha convinto che fosse un mestiere che si poteva fare, non era soltanto un’idea di fantasia. Ho immaginato allora che da grande avrei voluto fare l’astronauta. Poi crescendo mi sono reso conto che non era possibile, almeno non lo era negli anni ‘70-’80 e quindi ho fatto la cosa più vicina allo spazio che potevo immaginare, diventare un astrofisico. Ho lavorato per una decina di anni al Consiglio Nazionale di Ricerca (CNR),  proprio in un laboratorio che si occupava dello spazio. Lì è nata poi l’opportunità vera: agli inizi degli anni ‘90 ci sono state delle collaborazioni con la Nasa che si era offerta di addestrare i primi astronauti italiani. C’è stato un concorso pubblico, ho ritirato fuori il sogno che avevo messo nel cassetto e ho fatto la mia domanda senza grandi aspettative. Si trattava infatti di una selezione complessa di cui ignoravo molti dettagli, che non potevo non tentare. Alla fine invece siamo rimasti in due e quindi quello è stato il momento in cui ho cominciato davvero a credere che avrei avuto la possibilità di diventare astronauta.

 

Attraverso televisione e film vediamo un aspetto, talvolta non reale seppur affascinante, della vita nello spazio. Come trascorrete le giornate a bordo della Stazione Spaziale Internazionale (ISS) ?

Rispetto alla rappresentazione cinematografica c’è molta meno improvvisazione di come appare. Di solito nei film di fantascienza gli astronauti nello spazio risolvono le situazioni al momento. Nella realtà c’è invece molta più preparazione. L’attività spaziale viene preparata per anni, perché vivere nello spazio è difficile, complicato e rischioso. Le giornate sono molto impegnative, non ci sono cose affascinanti come nei film, ma il fatto stesso di vedere lo spazio e la Terra è già di per sé un’occasione fuori dell’esperienza quotidiana. L’attività giornaliera è attività di ricerca, come potrebbe essere in qualsiasi laboratorio. La differenza è che questo laboratorio gira intorno alla Terra ogni 90 minuti e si ha una vista del pianeta eccezionale.

 

Durante le sue missioni si è mai sentito solo ? Secondo lei siamo soli nello spazio ?

Sicuramente non mi sono mai sentito solo. Gli ambienti spaziali sono molto piccoli ed equipaggi di 6 o 7 persone vivono in uno spazio ristretto quindi, alla fine, è difficile sentirsi soli. Ci si sente soli in un’accezione più generale: mi ha colpito molto quando, affacciandomi dal finestrino, ho visto la terra, i colori, le montagne, i laghi, i mari, ma nessuna traccia di umanità. Ovviamente sei collegato via radio quindi sai che c’è qualcuno, però non lo vedi e questo ti colpisce. Tutto ciò è vero di giorno perché di notte si vedono eccome le luci delle città. Quindi questa sensazione di solitudine c’è effettivamente, ma non è certamente reale, è soltanto un’impressione. La verità è che tu sei sempre in collegamento via radio con la terra e sei sempre circondato da altre persone con cui collabori e lavori.

Siamo soli nell’universo è una domanda complicata. Diciamo che io posso esprimere un’idea e l’idea è peraltro quella che condividono molti altri scienziati che si sono occupati seriamente del problema della vita extraterrestre. Io non credo agli UFO, non credo a queste cose così appariscenti. In primo luogo lo spazio è grande e sappiamo che la nostra galassia comprende centinaia di miliardi di stelle, e di galassie come la nostra ce ne sono centinaia di miliardi, quindi è un numero talmente grande che è difficile perfino immaginare. In secondo luogo mentre prima non sapevamo nulla degli altri pianeti, oggi sappiamo che anche le altre stelle hanno pianeti. È difficile, quindi, pensare che in questo tourbillon di stelle ce ne sia soltanto una con un pianeta e che tra i tanti pianeti solo questo sia abitato. Riassumendo in una battuta che non è mia, ma di Carl Sagan, che è stato uno dei padri del progetto SETI,  “Se fossimo soli nel’Universo sarebbe un enorme spreco di spazio”

 

La Stazione Spaziale Internazionale (ISS) è stata definita un “avamposto dell’umanità nello spazio”, che ne pensa ?

Sì, io direi che è la casa dell’umanità nello spazio. È il primo vero tentativo di vivere fuori dal nostro pianeta. Ha il merito di aver messo insieme tanti paesi che fino ad allora, avevano proceduto per conto proprio. Anzi, addirittura al’inizio erano in contrapposizione. Il fatto che oggi collaborino tutti insieme, americani, russi, europei, giapponesi, e speriamo in futuro anche la Cina, a mio parere è un elemento essenziale perché nel momento in cui noi lasciamo il nostro pianeta e affrontiamo le sfide dello spazio non ci andiamo a nome di un paese o di una cultura  piuttosto che di un’altra ma a nome dell’umanità. Infatti gli astronauti sono definiti come ambasciatori dell’umanità nei documenti dell’ONU e in quanto tali la devono rappresentare. Il progetto della Stazione Spaziale è stato il primo in questa direzione e mi auguro ce ne possano essere degli altri.

 

In questo periodo si è sentito parlare di complotti riguardanti l’allunaggio. Qual è l’argomentazione più salda per confutare tale posizione ?

Io non li prenderei nemmeno in considerazione. Sono nato un decennio dopo la fine della guerra, quindi quando i miei genitori mi raccontavano del conflitto per me era un racconto, non una cosa che avevo vissuto. Non dico di metterlo in dubbio, però per me rimane comunque un aspetto distante. Posso quindi capire che le generazioni successive abbiano nei confronti dell’atterraggio sulla Luna un atteggiamento simile, ma chi l’ha vissuto, e io sono tra questi, era lì, quindi non può nemmeno pensare che possa essere stato falso. Comunque l’elemento essenziale è questo: era una competizione tra la Russia e gli USA. Gli americani hanno vinto e se i russi avessero avuto anche la minima possibilità di dimostrare che fosse falso l’avrebbero fatto.

 

Il nostro è un giornalino scolastico letto e realizzato soprattutto da giovani. Che messaggio si sente di indirizzare alle nuove generazioni e a coloro che vorrebbero intraprendere una simile carriera ?

Per la mia generazione andare nello spazio è stato un sogno, un sogno estremamente difficile da realizzare. Tant’è vero che in oltre 50 anni poco più di 500 persone hanno avuto la possibilità di viaggiare nello spazio. I prossimi 50 anni saranno completamente diversi e credo che lo spazio diventerà un ambiente in cui si andrà a vivere e a lavorare e forse addirittura a trascorrere le vacanze. Può sembrare fantascienza ma credo non sia troppo lontana. Le prossime generazioni dovranno affrontare nuove sfide, ma sicuramente alcune di queste le vedranno protagoniste. Non sarà, infatti, soltanto una minoranza ad avere la possibilità di andare nello spazio, non certamente la totalità della popolazione, ma comunque numeri significativi. Questo credo sia un bene perché l’esperienza nello spazio cambia il punto di vista. Vedere il proprio pianeta così isolato in qualche modo fa apprezzare ancora di più quanto sia importante questa piccola oasi di luce nel vuoto dello spazio. Un’esperienza condivisa di questo tipo, secondo me, farebbe bene al’umanità.

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