Il Femminicidio

La parola femminicidio suona male, ma è necessaria per capire e spiegare meglio contesti, per cercare di non banalizzare il fenomeno e di non ridurlo ad una invenzione mediatica, anche perché i numeri parlano chiaro (uno ogni tre giorni). Il termine femminicidio si usa quando in un crimine il genere femminile della vittima è una causa essenziale, un movente del crimine stesso. Nella maggior parte dei casi questi delitti si verificano all’interno di legami famigliari: donne uccise dai fidanzati, mariti, compagni, ma anche dai padri a seguito del rifiuto di un matrimonio imposto o di scelte non condivise. Un modo in cui possono venire suddivisi i femminicidi può essere quello in base al mezzo usato per uccidere: la maggior parte con un’arma da taglio, un coltello da cucina oppure a mani nude, in una piccola minoranza donne arse vive, uccisioni con corpo contundente ed un caso di avvelenamento. Il femminicidio spesso è solo l’ultimo grado di un climax e raramente è frutto di un momento d’ira incontrollata. Infatti, dei dati certi dimostrano che quattro donne su dieci hanno subìto abusi prima di venire assassinate. Questo accende un faro sulla prevenzione: bisogna dare maggiore importanza alle denunce che vengono presentate e consentire alle donne di venire aiutate, ad esempio da centri antiviolenza, in modo che possano sentirsi meno sole e superare la paura. Lo scorso 19 giugno è stata ratificata da Camera e Senato la Convenzione di Istanbul per la prevenzione e il contrasto della violenza sulle donne. La Convenzione è stata approvata dal Consiglio d’Europa il 7 aprile 2011 ed è il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante in materia di protezione dei diritti della donna contro ogni forma di violenza. Dallo scorso giugno, dunque, la Convenzione è valida anche in Italia: lo scopo è quello di prevenire atti di violenza, proteggere le vittime e perseguire gli aggressori, oltre che riconoscere una volta per tutte la violenza sulle donne come una violazione dei diritti umani.