Valentina Folloni: attraverso i racconti del bisnonno l’importanza della memoria

Valentina Folloni, residente a Castiglione delle Stiviere e laureata in matematica, è la giovane autrice del libro “Più forte della prigionia”. Fin da piccola ha raccolto la testimonianza del suo bisnonno, uno degli IMI (Internati Militari Italiani) imprigionati in Germania. Ha fatto tesoro di questi racconti e, dopo un lungo lavoro di ricerca, li ha raccolti nel libro pubblicato nel 2015.

 

Lei ha una formazione di stampo matematico. Cosa ha determinato la sua scelta di scrivere un libro di memoria?

In verità credo che la mia scelta di scrivere un libro di carattere storico non abbia alcun legame con la matematica, ma sia stata dettata dalla mia personale esperienza di vita.

Mi piace dire che il mio libro è nato un po’ per fortuna e un po’ per curiosità.

La grossa fortuna è stata quella di aver conosciuto nonni e bisnonni, e di aver goduto per un quarto di secolo della loro presenza e delle loro storie. La curiosità, invece, è sempre stata uno dei miei più grossi difetti.

Nonostante la mia formazione universitaria ho sempre avuto un profondo interesse per la storia della seconda guerra mondiale. Interesse, il mio, generato non solo dalla storia studiata a scuola, ma soprattutto dai racconti del mio bisnonno, che mi raccontava spesso la sua avventura. Da piccola la ascoltavo incredula e mi sembrava una storia estremamente triste. Più avanti, quando a scuola le maestre mi parlarono della seconda guerra mondiale, cominciai a capire che quella che mi raccontava il mio bisnonno doveva essere una vicenda strettamente connessa con la Storia (quella dei libri).

Arrivata alle scuole medie, iniziai ad ascoltarlo sempre con maggior interesse. Prendevo appunti quando lui raccontava. Affidavo ad improvvisati foglietti le sue parole, per non rischiare di perderle.

Con il passare degli anni, quella vicenda mi appassionò sempre di più. Avrei voluto approfondire, ma non ne avevo il tempo, né i mezzi.

Al termine del liceo decisi di cominciare le ricerche. Iniziò così un lungo periodo di studio e ricerca presso gli archivi comunali e parrocchiali. Fu un lavoro lungo e faticoso.

Con pazienza raccolsi parecchi documenti ufficiali. Continuavo sempre a collezionare i foglietti con impresse le parole del mio bisnonno. Ad un certo punto mi resi conto che lì di fronte a me avevo migliaia di tessere di un puzzle che voleva essere composto. Ma gli impegni universitari erano troppo intensi e non mi concedevano il tempo necessario per mettere ordine in quel materiale.

Nel 2015 ho trovato il coraggio (e un po’ di tempo) e mi sono messa al lavoro. Ho studiato con attenzione la storia degli IMI, confrontandola con quella del mio bisnonno. Ne è uscito un libro, nel quale ho presentato la Storia (quella importante, dei manuali) e la microstoria, quella fatta dagli uomini comuni. 

 

Ha riscontrato difficoltà nella stesura del suo libro?

Onestamente, nessuna!

Ho scritto il libro di getto, in meno di due settimane dalla prima parola digitata avevo concluso il lavoro. E’ stata una attività svolta con estrema naturalezza: le parole si susseguivano spontaneamente.

Avevo interiorizzato così tanto la vicenda del mio bisnonno, che a questo punto, era come se io stessi scrivendo al posto suo. Stavo dando voce ai suoi stessi racconti.

 

 

Come definirebbe il rapporto con il suo bisnonno?

Se i nonni sono una fortuna, i bisnonni sono una fortuna doppia. Se dicessi che il mio rapporto con lui era speciale direi un’ovvietà. Quindi cercherò di spiegarmi meglio. Nel tempo della mia infanzia, il mio rapporto con lui era lo stesso che i bambini hanno con i nonni: lui era il nonno (faccio fatica a chiamarlo bisnonno, perché mi sono sempre rivolta a lui chiamandolo “nonno Battista”) che mi raccontava le favole, che mi insegnava le tabelline, che mi portava a passeggiare lungo le vie di campagna. Un’infanzia bucolica accompagnata dalla fortuna di avere conosciuto i bisnonni.

Più avanti negli anni, la figura del bisnonno ha acquisito un’importanza differente: lui era l’anziano della famiglia, colui che ha molto da insegnare ai giovani, e che merita ascolto.

Ho vissuto per quasi 25 anni con il bisnonno a fianco, e per tutto questo tempo ho cercato di fare tesoro delle sue esperienze.

Se dovessi riassumere in una battuta, direi che per me il bisnonno è stato contemporaneamente un nonno affettuoso e un maestro di vita.

 

 

Cosa direbbe il suo bisnonno se potesse leggere questo libro?

Il mio bisnonno mi ha affidato la sua testimonianza senza mai chiedere nulla in cambio, senza mai domandarmi di scrivere qualcosa. Ho scritto e pubblicato il libro due anni dopo la sua morte, per cui lui non ha mai saputo nulla del mio lavoro.

Posso dire, con certezza, che lui ne sarebbe felice. Sarebbe orgoglioso di sapere che la sua testimonianza non è stata dimenticata, e che molte persone la stanno ascoltando ancora, leggendola.

Forse, se potesse leggere questo libro, non direbbe una parola, ma lascerebbe cadere qualche lacrima di soddisfazione.

 

 

Quali erano le emozioni dominanti che provava quando da piccola ascoltava i racconti del suo bisnonno?

Da piccola lo ascoltavo ammirata e curiosa. In verità a quell’età non potevo capire l’importanza delle sue parole. Solo più avanti ho capito che il mio bisnonno mi stava consegnando un grosso fardello di oneri e onori. Mi ha concesso l’onore di ascoltare la sua vicenda dalla sua viva voce e nel contempo sono stata investita dell’onere della testimonianza. La custode dei suoi racconti sono diventata io.

 

 

Da ascoltatrice a testimone: il ruolo della testimonianza da una generazione all’altra.

Dico sempre che “Chi ascolta la storia di un testimone, diventa a sua volta un testimone”.

Per il mio bisnonno la testimonianza era fondamentale. Raccontava affinché quella triste vicenda non fosse dimenticata. Raccontava perché tutti sapessero. Non poté mai dimenticare quegli anni.

Io ho raccolto il suo testimone. Ad un certo punto mi sono sentita investita di questo grosso compito. Lui aveva affidato a me la sua esperienza e io non potevo lasciarla scomparire. Sarebbe stato imperdonabile.

Credo sia necessario raccontare ai ragazzi queste vicende. La memoria dei nostri nonni non può e non deve arrestarsi. Ora il difficile compito che spetta a noi giovani (mi arruolo nella categoria) è quello di portare avanti la testimonianza dei nostri nonni.

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