La pena di morte: visione nel mondo antico e contemporaneo.

La pena di morte esiste dall’inizio dell’umanità, più o meno in tutte le società, come la tortura e la schiavitù.

La pena di morte nel mondo antico


In genere si ricorreva alla pena di morte in casi di lesa maestà o alto tradimento, per omicidio, sacrilegio o per altri crimini che in qualche modo potevano rappresentare un pericolo per l’equilibrio dell’intera società.
Mettere a morte i rei significava, in qualche modo, tutelare e ripristinare l’ordine sociale compromesso da un atto criminale, oltre che vendicare in maniera legale un torto subito.
La prima testimonianza scritta dell’uso della pena di morte è rappresentata dal Codice di Hammurabi.
Anche gli Egizi usavano infliggere la pena di morte. Al contrario di quanto stabilito dal Codice di Hammurabi, nell’antico Egitto le sentenze erano uguali per tutti, indipendentemente dalla posizione sociale o situazione economica. Solitamente le esecuzioni erano eseguite per annegamento del reo nel fiume Nilo, rinchiuso in un sacco o mediante decapitazione.
Presso le civiltà precolombiane (Maya, Aztechi, Inca) il furto veniva punito con la schiavitù e l’omicidio con la morte, se il colpevole non era in grado di risarcire adeguatamente i parenti della vittima. Anche l’adulterio, considerato un reato contro la proprietà, era punito con la morte: ma ad essere punita non era la moglie, bensì il suo seduttore, che, consegnato al marito, veniva da questi ucciso, gettandogli dall’alto un grande masso sul capo.
Anche nell’antica Grecia era praticata la pena di morte.
La società romana si distinse per la varietà dei metodi con cui uccideva legalmente chi era stato giudicato colpevole.
L’infamia di chi aveva commesso un grave reato era resa pubblica attraverso la cosiddetta «passeggiata ignominiosa»: il condannato con le mani legate dietro la schiena, attraversava a piedi la città mentre veniva percosso, frustato, insultato e preso a sassate dai cittadini. Il condannato giungeva quindi nel luogo dell’esecuzione, dove il magistrato recitava una solenne formula di legge e ordinava il taglio della testa, la forma di esecuzione più diffusa.
L’esecuzione della pena di morte era un fatto pubblico, destinato a mostrare a tutti come lo Stato punisse chi compiva gravi delitti e come riuscisse a tutelare l’ordine costituito; inoltre assumeva il carattere di uno spettacolo.

La spettacolarizzazione della messa a morte era evidente nella cosiddetta «condanna alle belve» che si svolgeva negli anfiteatri cittadini: verso mezzogiorno i colpevoli, con le mani legate dietro la schiena, erano condotti dentro l’arena e qui venivano divorati vivi da leoni, tigri o altri animali selvatici affamati. Sempre negli anfiteatri si eseguivano anche altri tipi di esecuzione, come quella mediante il rogo.
La pena di chi commetteva un alto tradimento, stuprava una vergine vestale o faceva malefici era il cosiddetto «albero infelice»: il condannato veniva legato saldamente a un palo a forma di Y, con il collo bloccato nel punto della biforcazione, ed era fustigato fino alla morte. I traditori potevano anche essere fatti precipitare dalla Rupe Tarpea, uno strapiombo a ridosso del Campidoglio.

A chi uccideva i propri genitori era riservata la «pena del sacco», che consisteva nel frustare a sangue il colpevole, metterlo ancora vivo in un sacco impermeabile insieme con un cane, una vipera e una scimmia, cucire il sacco e buttarlo in mare.

Ancora oggi non è chiaro il significato simbolico degli animali presenti nella pena, mentre il sacco doveva servire a isolare il cadavere dell’omicida dall’aria, dalla terra e dall’acqua, così da non contaminare la natura. La gravità del reato era sottolineata dal fatto che la testa del condannato era avvolta con un cappuccio di pelle di lupo, che indicava la sua appartenenza al mondo animale e non più a quello degli esseri umani.


Dove viene applicata oggi la pena di morte?



Per rispondere a questa domanda si possono dividere i Paesi del mondo in tre gruppi.
Il primo gruppo è formato da quei Paesi che hanno abolito la pena di morte e comprende quasi tutta l’Europa, il Canada, l’Australia e alcuni Stati africani e latino-americani; in pratica tutto il mondo occidentale con l’eccezione degli Stati Uniti.
Il secondo gruppo include quei Paesi che prevedono ancora la teorica possibilità di comminare la pena capitale, ma in pratica non effettuano esecuzioni da molti anni.

Ne fanno parte la Russia e altri Stati dell’Europa orientale, buona parte dell’America latina (tra cui Brasile e Argentina), alcuni Stati dell’Africa occidentale.
Il terzo gruppo è formato da quei Paesi in cui la pena di morte è in vigore e viene applicata. Comprende la Cina, l’India, il Giappone e gli altri Stati dell’Estremo Oriente, tutti i Paesi arabi e islamici e molti stati dell’Africa orientale. Fanno parte di questo gruppo anche gli Stati Uniti, anche se la pena di morte non è applicata in tutti gli Stati dell’Unione (la scelta in materia è lasciata ai singoli Stati che compongono gli Usa, non al governo federale).

 


Ecco alcuni aspetti secondo i quali la pena di morte potrebbe essere utile ;
Coloro che ne sostengono l’utilità spiegano di solito la loro posizione con due affermazioni:
-La pena di morte è la giusta punizione per chi, a sua volta, ha inflitto la morte e risponde a un innato senso della giustizia che esige una punizione esemplare per chi si è macchiato del peggiore dei delitti.
-La pena di morte ha un valore esemplare e serve a dissuadere altre persone dal macchiarsi di orribili delitti per paura di subire un castigo così severo.

A volte, si aggiunge che essa è sempre stata adottata, in ogni tempo, e che, in questo senso, è un po’ simile alla guerra: tutti sono d’accordo che sia una sciagura, ma in determinati casi diventa inevitabile.

Coloro che, invece, si schierano per l’abolizione della pena di morte rispondono con queste argomentazioni:
-Se vogliamo avere il diritto di giudicare il nostro prossimo, dobbiamo essere migliori di lui: punire chi ha ucciso mandandolo a morte significa mettersi sul suo stesso piano e non avere, perciò, il diritto di giudicarlo.
-La pena di morte non funziona affatto come deterrente: le percentuali di omicidi sono più alte negli Stati che la mantengono rispetto a quelli che l’hanno abolita. Si può dunque affermare che non c’è nessun legame tra il rischio di subire una condanna a morte e l’impulso a commettere un omicidio.
-La funzione della Giustizia non è quella di punire, quanto quella di «recuperare» chi ha sbagliato anche attraverso la detenzione, ma allo scopo di reinserirlo nella società: non si tratta tanto di fargli scontare una pena, quanto di dargli una possibilità di ravvedersi e di iniziare una nuova vita. La pena di morte non consente certo tutto ciò e risulta quindi non soltanto crudele, ma anche inadeguata.

 

Insomma , Il cammino verso la piena e totale cancellazione della pena di morte dal mondo è ancora lungo e il dibattito tra fautori e contrari non è spento.

Sull’opportunità o meno della pena capitale l’opinione pubblica è infatti da sempre divisa, anzi addirittura spaccata.

Trattando argomenti delicati come quest’ultimo ,è necessario che prima di arrivare ad una conclusione definitiva debba passare molto tempo.

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